Nel mondo della pubblicistica letteraria del ventennio, «Il Convegno» di Enzo Ferrieri è una presenza di indubbio rilievo, che riceve attenzione e critiche già nei suoi primi anni di attività. Quando Prezzolini, nella monografia La coltura italiana (1923), riconosce al mensile milanese il pregio di ospitare il meglio della letteratura contemporanea, senza costringerla nei limiti di una scuola, di un gruppo o di una poetica, indica una caratteristica che avrebbe sempre contraddistinto l’attività della rivista e ne avrebbe condizionato la fortuna anche in seguito. Nato nel 1920, a breve distanza dalla fine della prima guerra mondiale, «Il Convegno» esordisce nel clima confuso e contraddittorio del ritorno all’ordine postbellico. Pur evitando consuntivi di vasta portata e dichiarazioni programmatiche, Ferrieri dà vita a un’attività culturale inesausta che, sotto le sembianze di una generica antologia, intreccia il proprio percorso con le iniziative di alcune delle maggiori riviste italiane del tempo: «La Ronda», «Primo tempo», «Il Baretti», «Solaria», «Orpheus», «La Fiera letteraria» e «I Libri del giorno». Nel clima fervido di una Milano considerata capitale della letteratura di consumo, Ferrieri fonda una testata cui si legano un teatro, una casa editrice, una libreria e un centro culturale. La sua intraprendenza lombarda supera il ristretto circolo degli addetti ai lavori, dei «consanguinei» di matrice rondiana, per estendersi ai curiosi e agli appassionati, che divengono parte di un «clima» e di un gusto al di fuori di mode e di correnti. Quando Maria Corti, agli inizi degli anni Novanta, acquisisce all’allora Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia un cospicuo materiale inedito su Ferrieri, «Il «Convegno» vede finalmente riconosciute le sue qualità europeiste e riabilitata la sua ventennale militanza letteraria e artistica. Una rilettura della rivista e dei contributi che le sono stati dedicati, tuttavia, ci ha indotti a intraprendere uno studio di carattere panoramico, che guardi all’eclettismo non come a un dato acquisito ed esauriente in se stesso, ma come alla scelta consapevole di un modo di fare cultura. Da questa prospettiva è emersa un’immagine composita, profondamente articolata, che ha restituito spessore e coesione a interventi in apparenza irrelati fra loro. Ne è nato un dialogo, come sussurrato, capace di stimolare e di coinvolgere il pubblico con punti di vista spesso diversi e complementari. Assumendo eclettismo e narrativa come filtri dell’indagine, ci si è proposti di mettere in luce limiti e risultati dell’impostazione adottata da Ferrieri e di collocarla nel quadro della pubblicistica del tempo. «Il Convegno» non volle essere, e non fu, un periodico contraddistinto dalla coscienza critica e metodologica di una personalità egemone. Per questo, ancor oggi, la sua immagine si associa non di rado alla pecca di un organico poco strutturato. Più che proporre una via inedita e teorica al rinnovamento delle lettere italiane, il mensile fu una raccolta selettiva, perspicace e duratura dei tentativi che si muovevano in quella direzione. Questo lavoro nasce dalla mia tesi di dottorato. Desidero ringraziare di cuore il prof. Giorgio Baroni, per l’aiuto e l’attenzione di cui è stato prodigo in questi anni di lavoro. Vorrei anche ricordare la solerte collaborazione dei bibliotecari Antonio Banfi e Gabriele Bargellini, che hanno agevolato le mie ricerche in ogni modo. Un pensiero riconoscente ai miei genitori per il loro incoraggiamento. Dedico questo volume a mio marito Massimo. Dalla Premessa dell'Autrice